Nell’epoca dei social network e del regno dell’immagine, un numero sempre maggiore di adolescenti viene colpito da disturbi mentali di cui difficilmente anche le persone più vicine riescono ad accorgersi in tempo. Autolesionismo. Depressione. Anoressia. Crisi di panico. Disturbi della personalità. Questa storia, raccontata al Sunday Times da una madre messa di fronte ad una figlia dalla vita all’apparenza felice ma ricoperta di ferite dentro e fuori di sé, parla del travaglio di chi si trova a combattere contro un male invisibile che affligge i propri cari. E della ricerca di una motivazione che, troppe volte, non c’è. “È successo tutto una normale domenica sera.
La mia figlia 15enne, Ashley (nome inventato, ndr), era appena tornata a casa dopo un fine settimana passato da un’amica a Londra. Sembrava un po’ stanca, ma niente di più. Dopo una cioccolata calda e una chiacchierata veloce, mi ha detto di essere molto stanca ed è andata a letto presto. Circa mezz’ora dopo la porta si è aperta e l’ho vista. Mi ha detto di non sentirsi molto bene; era coperta di sangue. Le sue gambe e le sue braccia, dai polsi al gomito, erano ricoperte di tagli. Chiamai immediatamente un’ambulanza, che arrivò a casa mia poco dopo. Le sue ferite non erano gravi, così mi dissero che avrei dovuto portarla io al pronto soccorso”.
La donna conduce sua figlia al pronto soccorso guidando “come una pazza”. Una volta lì un’infermiera prende in custodia la ragazza, e scoprono che ci sono tagli addirittura dietro la sua schiena. Le lavano le ferite e le cambiano i vestiti; subito dopo una dottoressa specializzata in pediatria raggiunge la sala d’ospedale. “Le domandò dove si trovava e le chiese perché si era tagliata. Ashley raccontò alla dottoressa che si era fatta del male a causa di Anna. Era stata Anna a dirle di tagliarsi, a dirle che meritava di essere punita. “Anna” era l’alter ego di Ashley. Una voce che risuonava nella sua testa. Con orrore scoprii che Anna aveva chiesto ad Ashley di uccidersi già una volta, che aveva tentato di impiccarsi. E io, sua madre, ero all’oscuro di tutto. Non sapevo cosa fosse peggio a quel punto: che la mia bellissima, intelligente, creativa, affascinante figlia di 15 anni avesse già tentato il suicidio o che la dottoressa sapesse esattamente quali domande porle e non sembrasse affatto sorpresa. Aveva sentito storie come quella di Ashley molte altre volte.
Mia figlia soffriva di depressione da due anni. Quando lo scoprimmo, d’accordo con un medico decidemmo di sottoporla ad una cura a base di antidepressivi per due settimane. Dopo, tutto sembrava andare bene. Né io né mio marito, impegnati come eravamo col lavoro, ci eravamo resi conto di cosa stesse passando davvero. I suoi stati d’animo scontrosi e la tristezza che reputavamo come un normale comportamento adolescenziale non erano affatto innocui”. Tagliarsi rilascia nel corpo endorfina. Se non viene bloccata sul nascere, questa terribile abitudine può diventare una dipendenza come molte altre. Alcuni rappresentanti della Child and Adolescent Mental Health Services (CAMHS) britannica consigliano alla donna di nascondere tutti gli oggetti taglienti con cui Ashley avrebbe potuto ferirsi. Ma non basta, e lei lo sa. Sul corpo della ragazza iniziano ad apparire lividi che si infligge con oggetti all’apparenza innocui.
“Non c’era modo di aiutarla per me. Anche se suo padre fosse stato presente – ci aveva abbandonati la settimana prima di Natale – sarebbe stato impossibile. Per quanto fosse doloroso ammetterlo, se avesse voluto ferirsi ci sarebbe riuscita. L’ospedale dove si trovava non aveva un reparto psichiatrico e la nostra assicurazione sanitaria non avrebbe coperto più di 45 giorni in una clinica privata. Come se non bastasse mi dissero che le strutture più vicine si trovavano in Scozia o in Cornovaglia, a migliaia di chilometri da casa. Non mi arresi. Cercai dappertutto, in ogni struttura privata o pubblica che riuscissi a contattare. Ma non c’era un solo letto libero. Disperata, decisi di prendere la situazione in mano e contattai qualsiasi persona che credevo potesse aiutarmi, inclusi amici che avevano vissuto situazioni simili, medici, terapisti e psichiatri. Alla fine riuscii a trovare una clinica di Londra che accettò di prenderla in custodia”.
Ashley viene tenuta nello stesso reparto di terapia intensiva, sotto sorveglianza ventiquattro ore al giorno. “Credevo di essere sola contro la malattia di Ashley, ma non era così. I miei vicini si preoccupavano di farmi trovare un pasto caldo quando tornavo a casa la sera, esausta. Il figlio 21enne della mia vicina ripulì la casa dal sangue e il letto e i vestiti sporchi di Ashley, così che io non dovessi vederli. Un’infermiera si offrì volontaria per ricoprire sempre lo stesso turno ogni giorno, così che mia figlia avesse una continuità. Mia madre 82enne abbandonò tutto e venne ad aiutarmi immediatamente. Un’amica di Ashley passò un’intera notte all’ospedale al posto mio così che potessi riposarmi un po’. Non saprò mai cosa ha causato la malattia di mia figlia. Quasi certamente ha una predisposizione genetica.
Di sicuro ci sono state altre cose che hanno contribuito: Facebook, i suoi impegni, la scuola, gli esami. Qualcosa nella nostra società è terribilmente, terribilmente sbagliato. Serviranno idee radicali, visionarie, innovative e coraggiose per alleggerire la pressione sociale sui nostri figli, per ridargli l’infanzia e la serenità. Se fosse per me abolirei Facebook, i compiti e gli esami per tutti gli adolescenti. Purtroppo la mia voce non conta molto, quindi posso solo unirmi al grido d’aiuto disperato che molti genitori, come me, lanciano alla nostra società”.