Ricercatori del Dipartimento di Angiocardioneurologia dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli (IS) hanno scoperto, su modelli animali, che l’assenza di un particolare enzima causa un disturbo riconducibile alla sindrome da iperattività e deficit di attenzione dell’età infantile e adolescenziale (ADHD nella sigla inglese). La scoperta, pubblicata sulla rivista internazionale EMBO Molecular Medicine, apre la strada a una maggiore comprensione dei meccanismi di questa patologia e a nuove prospettive di terapia.
Descritto per la prima volta nel 1845, ma giunto alla ribalta solo negli ultimi decenni, l’ADHD è un disturbo che colpisce i bambini e che compare in genere prima dei sette anni di età, con importanti risvolti che perdurano anche nella vita adulta. Le sue caratteristiche principali sono una iperattività frenetica, una seria difficoltà a concentrarsi sulle attività, una estrema facilità a distrarsi e una spiccata impulsività. Certamente da non confondere con quello che può essere un bambino semplicemente “vivace”, si tratta di un disordine neuropsichiatrico infantile, e può causare un disagio verso i coetanei, fino a sfociare in difficoltà di apprendimento. Mentre la terapia attualmente disponibile segue un approccio farmacologico sintomatico, sulle cause della sindrome non è stata fatta ancora piena luce.
Ora un gruppo di ricercatori del Neuromed ha individuato un meccanismo molecolare che, quando disregolato, determina una sintomatologia tipica dei bambini affetti da ADHD. Si tratta dell’enzima PI3K gamma, coinvolto nella trasmissione dei segnali all’interno delle cellule. Già conosciuta da tempo, questa molecola è stata studiata soprattutto nel quadro del sistema cardiovascolare e di quello immunitario.
“E’ da qui che siamo partiti – dice la dottoressa Daniela Carnevale, ricercatrice responsabile della ricerca – PI3K gamma ha diverse caratteristiche interessanti, soprattutto per quanto riguarda le funzioni che svolge a livello di cuore e sistema cardiovascolare. Così avevamo già modelli animali per studiarla a fondo, in particolare topi che ne sono geneticamente privi, i cosiddetti knock-out, molto interessanti perché, ad esempio, non sviluppano l’ipertensione”.
Ma gli animali privi dell’enzima si comportavano anche in modo strano. Ed è stata proprio questa osservazione a spingere una linea di ricerca completamente nuova. “Avevamo visto – continua Carnevale – che questi topi si muovevano in modo eccessivamente frenetico, avevano problemi a concentrarsi e ad apprendere, infine presentavano deficit anche nella sfera delle interazioni sociali. Insomma, le caratteristiche tipiche dell’ADHD”.
Queste osservazioni hanno portato i ricercatori di Pozzilli a concentrare la loro attenzione sul ruolo che PI3K gamma potesse avere nel sistema nervoso, dove da poco è stata dimostrata la presenza dell’enzima. Al centro della loro ricerca c’è stata una particolare area cerebrale, il Locus Ceruleus, già conosciuta perché, attraverso le sue connessioni con la corteccia cerebrale, appare implicata nel mantenimento dell’attenzione. La Dott.ssa Carnevale e i suoi collaboratori, hanno dimostrato che l’iperattivazione del Locus Ceruleus determina una difficoltà nel mantenimento dell’attenzione e ipercinesi, associati a deficit nell’apprendimento. “I neuroni del Locus Ceruleus – spiega la ricercatrice – hanno quella che viene definita una scarica tonica, un ritmo. In altri termini sono una specie di pacemaker, e la regolarità dei loro impulsi ha un ruolo determinante nel mantenere il livello di attenzione. Quando questi impulsi sono troppo frequenti, come abbiamo dimostrato nei topi mancanti di PI3K gamma, compaiono le caratteristiche tipiche della sindrome da iperattività e deficit di attenzione”.
La ricerca condotta nel Neuromed offre un’occasione unica e completamente nuova, nella comprensione dei meccanismi di una patologia neuropsichiatrica, finora trattabile solamente con farmaci sintomatici.