Mangiare glutine potrebbe fare male anche a chi è solo “sensibile” a questa sostanza. Sembrerebbe infatti causare alcuni sintomi attribuiti erroneamente alla sindrome del colon irritabile: almeno nel 25 per cento dei casi, dunque in un individuo su quattro. Sono i risultati dello studio Glutox, condotto dall’Associazione Italiana Gastroenterologi e endoscopisti ospedalieri e coordinato dal Centro per la prevenzione e diagnosi della malattia celiaca della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.
E’ partito all’incirca un anno fa con l’obiettivo di reclutare nell’arco di 12 mesi un migliaio di persone sofferenti di svariati disturbi intestinali non correlabili però né a celiachia né ad allergia al frumento, escluse rispettivamente dal dosaggio ematico delle transglutaminasi e dalla biopsia intestinale e da test specifici. Scopo dello studio era da un lato verificare la diffusione della sensibilità al glutine e la causa di insorgenza e dall’altro le eventuali implicazioni su patologie di natura gastro-intestinale.
Spesso sono confuse per la similarità dei sintomi: gonfiore addominale, intestino irritabile, stanchezza generalizzata, mal di testa. A fare la differenza tra le due condizioni sono però almeno tre variabili: i numeri innanzitutto, significativamente più importanti nella sensibilità al glutine; si stima infatti che possa interessare tra il 5-10 per cento della popolazione per lo più femminile tra i 25 e i 45 anni contro solo l’1 per cento della celiachia (sebbene il dato sia sottostimato). Poi la temporalità, la sensibilità al glutine pare una condizione di intolleranza “transitoria” alla proteina contenuta in elevate quantità in frumento, orzo e segale verso uno stato cronico della celiachia. Infine l’intensità della sintomatologia, più lieve e contenuta nella sensibilità al glutine.
C’è però, nella sensibilità al glutine, una importante criticità: un possibile errore di valutazione diagnostica. Accade infatti che, nella maggior parte dei casi, sintomi gastrointestinali non apparentemente attribuibili ad altre cause o condizioni patologiche vengano riferiti ad una “sensibilità” alla sostanza. Dunque, la diagnosi avviene semplicemente per esclusione. «Questo disturbo – spiega il dottor Luca Elli, responsabile del Centro per lo studio della celiachia del Policlinico di Milano e coordinatore dello studio Glutox, provoca sintomi clinici simili a quelli della sindrome dell’intestino irritabile come dolore addominale, gonfiore e manifestazioni extraintestinali aspecifiche quali eczemi, prurito, cefalea che solitamente insorgono a breve distanza dall’assunzione di glutine ed altrettanto rapidamente regrediscono in seguito a una dieta ad esclusione. Si pone però il problema che alcuni casi non siano correttamente diagnosticati». Per verificare l’esatta origine della sintomatologia, dipendente cioè dall’ingestione di glutine e non da altra causa, i pazienti dello studio sono stati sottoposti per tre settimane a una dieta gluten-free. Passato questo periodo, l’alimento è stato reintrodotto “in cieco” (cioè solo in una parte casuale dei pazienti contro del placebo nell’altra metà) con il risultato che il 26 di essi tornava a manifestare sintomi gravi. «I risultati della ricerca – precisa Elli – permettono di ipotizzare che questi pazienti potrebbero essere sottoposti a una terapia esclusivamente basata sulla dieta, simile a quella per la malattia celiaca, con remissione dei sintomi».
In caso di sensibilità al glutine una buona notizia c’è, perché la dieta è meno restrittiva: «Rispetto ai celiaci – conclude Elli – chi soffre di sensibilità alla sostanza, dietro consiglio del medico, potrebbe alternare periodi di astinenza a fasi in cui assumere glutine». Insomma piccole concessioni, ma sempre con moderazione.